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Recensione a Libia 2011 di Paolo Sensini

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Il saggio di Paolo Sensini Libia 2011(Milano 2011) rappresenta un’opera fondamentale per chi volesse ripercorrere le vicende belliche che hanno insanguinato l’altra sponda del Mediterraneo nell’anno in corso. L’opera è divisa in due parti: la prima è dedicata ad un secolo di storia libica, chiuso fra i due tragici eventi bellici della guerra coloniale del 1911 e dell’intervento ‘umanitario’ del 2011. La seconda, invece, affronta con rigore i fatti bellici dell’anno in corso su più piani: inquadramento della Libia nell’attualità dell’area, l’intervento armato secondo il diritto internazionale, ricostruzione cronologica dei fatti bellici, testimonianza personale dell’autore in visita nei territori del conflitto, etc.Il saggio affronta con grande serietà la problematica oggetto di studio e così facendo smaschera inesorabilmente e sistematicamente il castello di falsità costruite sulla guerra di Libia, partendo dalle grandi menzogne iniziali, che costituirono la legittimazione dell’intervento militare agli occhi dell’opinione pubblica (fosse comuni, 10.000 vittime, bombardamenti sulla folla, etc.) e continuando con le invenzioni mediatiche che hanno dato – a conflitto in corso – nuovo mordente alle preoccupazioni ‘umanitarie’ del pubblico occidentale (stupri di massa catalizzati dall’uso di afrodisiaci, crimini sulla popolazioni attribuiti ai lealisti invece che alla NATO, etc.). E non solo le urla della propaganda hanno tanto influito nel capovolgere la percezione dei fatti, ma anche i suoi silenzi. Quanto si è seriamente trattato sui media occidentali e panarabi degli alti livelli di sviluppo umano e sociale della Libia di Gheddafi (1)? Quanto, invece, dell’alta concentrazione di jihadisti ‘di professione’ fra gli insorti, anche nei quadri alti delle milizie? Quanto, ancora, dei crimini commessi dagli stessi ribelli spesso falsamente attribuiti ai lealisti in altri contesti (2)?A questi riguardi, l’opera di decostruzione del castello mediatico operata da Sensini è tanto radicale quanto rigorosa. L’autore non lascia spazio a mirabolanti dietrologie: le sua denunce sono ampiamente documentate nel testo con fonti autorevoli, il cui ampio spettro per origine geografica e collocazione politico-ideologica sta ad indicare la serietà di una ricerca intellettuale non condizionata da confini materiali o ideologici, questi ultimi ovviamente ben più insidiosi.

Oramai, dopo 20 anni di guerre ‘umanitarie’ e/o ‘securitarie’ dell’era post-bipolare, è possibile individuare con criteri – oseremmo dire – scientifici gli aspetti fondamentali della fenomenologia di simili conflitti sui più svariati piani (preparazione mediatica, stravolgimento e politicizzazione del diritto internazionale, operazioni di soft power ed intelligence preliminari e successive allo scoppio dei conflitti, etc.) e sicuramente un’opera come quella di Sensini rappresenta un tassello fondamentale per avere una visione d’insieme non solo – come accennato – sulla specifica questione libica, ma anche sui meccanismi che accomunano questa tragica avventura bellico-umanitaria alle analoghe precedenti e alle possibili future. Mentre si scrive, ad esempio, foschi segnali giungono dalla Siria, ove non può escludersi un’aggravarsi drastico della crisi e in ogni caso – quali che saranno gli sviluppi futuri – assistiamo al riguardo già da mesi ad un canovaccio politico-mediatico oramai ben noto a chi cerca di guardare oltre l’immagine di facciata dell’ “intervento umanitario”. Il quale, oltretutto, non è più nemmeno chiamato col suo vero nome, noto ed elementare: guerra. Si tratta di un espediente di neolingua orwelliana ricordato dallo stesso autore nel testo e già lucidamente intuito e rappresentato da Carl Schmitt nel secolo scorso.

Per concludere, ci si augura che un saggio come “Libia 2011” venga apprezzato e soprattutto non cada nell’oblio negli anni a venire, come parrebbe essere già avvenuto con la guerra di cui l’opera tratta. Vi è infatti bisogno di questi esempi di onestà intellettuale che fungano anche per il futuro da testimonianza di certi eventi rovinosi e delle menzogne che li hanno legittimati.

Già all’incirca un secolo fa si denunciava che
“Lo storico, il quale in avvenire vorrà ricostruire questo torbido periodo della nostra vita nazionale, dovrà giudicare che la cultura italiana nel primo decennio del secolo XX doveva essere caduta assai in basso, se fu possibile ai grandi giornali quotidiani e a giornalisti, che pur andavano per la maggiore, far credere all’intero paese tutte le grossolane sciocchezze, con cui l’impresa libica è stata giustificata e provocata. Non esistevano, dunque, in Italia studiosi seri e coscienziosi? Che cosa facevano gli insegnanti universitari di geografia, di storia, di letterature classiche, di diritto internazionale, di cose orientali? Credettero anch’essi alle frottole dei giornali? E se non ci credettero, perché lasciarono che il paese fosse ingannato? Oppure considerarono la faccenda come del tutto indifferente per la loro olimpica serenità? La risposta a queste domande non potrà essere molto lusinghiera per la nostra generazione.” (3)
A distanza di cent’anni possiamo affermare che Libia 2011 rappresenterà un piccolo segnale di discontinuità, assieme a poche altre felici eccezioni, per lo storico che un domani “vorrà ricostruire questo torbido periodo della nostra vita nazionale”.
Approfondimenti

Si invita a far riferimento anche all’intervista rilasciata dall’autore per Eurasia: http://www.eurasia-rivista.org/12310/12310/

NOTE
1) Dati e statistiche, diffusi anche dalle Nazioni Unite ed istituzioni ad esse legate, lasciano poco spazio alla contestazione. Vedi – ad esempio – i dati della Banca Mondiale relativi all’Indice di Sviluppo Umano del paese.
2) Si pensi alle immagini di vere fosse comuni, diffuse infine dalla Reuters, che mostrano i cadaveri giustiziati di fedeli a Gheddafi e – per contro – a due emblematici casi di presunte fosse comuni, rivelatesi poi rispettivamente loculi di cimitero e cumuli di ossa animali. Senza contare i casi in cui su fosse comuni inizialmente attribuite ad azioni criminose dei lealisti, sono poi maturati forti sospetti sulla matrice ‘ribelle’ delle stesse; vedi – ad esempio – le perplessità dell’inviato di guerra Gian Micalessin.
3) Gaetano Salvemini e altri, “Come siamo andati in Libia” La Voce, Firenze 1914.

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